venerdì 29 luglio 2016

Catechesi mariane di Giovanni Paolo II

30. "L’UNIONE VERGINALE DI MARIA E GIUSEPPE"

Mercoledì, 21 agosto 1996

1. Presentando Maria come "vergine", il Vangelo di Luca aggiunge che era "promessa sposa di un
uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe" (Lc 1,27). Queste informazioni appaiono, a prima
vista, contraddittorie. Occorre notare che il termine greco usato in questo passo non indica la
situazione di una donna che ha contratto il matrimonio e vive pertanto nello stato matrimoniale, ma
quella del fidanzamento. A differenza di quanto avviene nelle culture moderne, però, nel costume
giudaico antico l’istituto del fidanzamento prevedeva un contratto e aveva normalmente valore
definitivo: introduceva, infatti, i fidanzati nello stato matrimoniale, anche se il matrimonio si
compiva in pienezza allorché il giovane conduceva la ragazza nella sua casa. Al momento
dell’Annunciazione, Maria si trova dunque nella situazione di promessa sposa. Ci si può domandare
perché mai abbia accettato il fidanzamento, dal momento che aveva fatto il proposito di rimanere
vergine per sempre. Luca è consapevole di tale difficoltà, ma si limita a registrare la situazione
senza apportare spiegazioni. Il fatto che l’Evangelista, pur evidenziando il proposito di verginità di
Maria, la presenti ugualmente come sposa di Giuseppe costituisce un segno della attendibilità
storica di ambedue le notizie.
2. Si può supporre che tra Giuseppe e Maria, al momento del fidanzamento, vi fosse un’intesa sul
progetto di vita verginale. Del resto, lo Spirito Santo, che aveva ispirato a Maria la scelta della
verginità in vista del mistero dell’Incarnazione e voleva che questa avvenisse in un contesto
familiare idoneo alla crescita del Bambino, poté ben suscitare anche in Giuseppe l’ideale della
verginità. L’angelo del Signore, apparendogli in sogno, gli dice: "Giuseppe, figlio di Davide, non
temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito
Santo" (Mt 1,20). Egli riceve così la conferma di essere chiamato a vivere in modo del tutto speciale
la via del matrimonio. Attraverso la comunione verginale con la donna prescelta per dare alla luce
Gesù, Dio lo chiama a cooperare alla realizzazione del suo disegno di salvezza. Il tipo di
matrimonio verso cui lo Spirito Santo orienta Maria e Giuseppe è comprensibile solo nel contesto
del piano salvifico e nell’ambito di un’alta spiritualità. La realizzazione concreta del mistero
dell’Incarnazione esigeva una nascita verginale che mettesse in risalto la filiazione divina e, al
tempo stesso, una famiglia che potesse assicurare il normale sviluppo della personalità del
Bambino. Proprio in vista del loro contributo al mistero dell’Incarnazione del Verbo, Giuseppe e
Maria hanno ricevuto la grazia di vivere insieme il carisma della verginità e il dono del matrimonio.
La comunione d’amore verginale di Maria e Giuseppe, pur costituendo un caso specialissimo,
legato alla realizzazione concreta del mistero dell’Incarnazione, è stata tuttavia un vero matrimonio
(cf. Esort. ap. Redemptoris custos, 7). La difficoltà di accostarsi al mistero sublime della loro
comunione sponsale ha indotto alcuni, sin dal II secolo, ad attribuire a Giuseppe un’età avanzata e a
considerarlo il custode, più che lo sposo di Maria. È il caso di supporre, invece, che egli non fosse
allora un uomo anziano, ma che la sua perfezione interiore, frutto della grazia, lo portasse a vivere
con affetto verginale la relazione sponsale con Maria.
3. La cooperazione di Giuseppe al mistero dell’Incarnazione comprende anche l’esercizio del ruolo
paterno nei confronti di Gesù. Tale funzione gli è riconosciuta dall’angelo che, apparendogli in
sogno, lo invita a dare il nome al Bambino: "Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli
infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21). Pur escludendo la generazione fisica, la
paternità di Giuseppe fu una paternità reale, non apparente. Distinguendo tra padre e genitore,
un’antica monografia sulla verginità di Maria - il De Margarita (IV sec.) - afferma che "gli impegni
assunti dalla Vergine e da Giuseppe come sposi fecero sì che egli potesse essere chiamato con
questo nome (di padre); un padre tuttavia che non ha generato". Giuseppe dunque esercitò nei
confronti di Gesù il ruolo di padre, disponendo di un’autorità a cui il Redentore si è liberamente
"sottomesso" (Lc 2,51), contribuendo alla sua educazione e trasmettendogli il mestiere di
carpentiere. Sempre i cristiani hanno riconosciuto in Giuseppe colui che ha vissuto un’intima
comunione con Maria e Gesù, deducendo che anche in morte ha goduto della loro presenza
consolante ed affettuosa. Da tale costante tradizione cristiana si è sviluppata in molti luoghi una
speciale devozione alla Santa Famiglia ed in essa a san Giuseppe, Custode del Redentore. Il Papa
Leone XIII gli affidò, com’è noto, il patrocinio su tutta la Chiesa.

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